10 Gen Marocco
MAROCCO
810 km 11000 dsl+
Novembre 2024
Ogni anno si crea quella miracolosa congiuntura astrale per cui cinque amici di vecchia data riescono simultaneamente a sottrarsi ai propri obblighi e a ficcarsi in un aereo con la rispettiva due ruote, smontata e pressata in un cartone insieme alle borse da bikepacking. Ora eccoli lì, i cinque, alla stazione Termini, che si trascinano dietro un quintale e mezzo tra cartoni, borse, acciaio e alluminio, dubbi e speranze. Risate, tante.
Sulla scelta del setup non sono state poste regole: ognuno si è attrezzato a suo gusto, chi con largo anticipo, chi, al solito, in ritardo marcio. Due mtb front non proprio ultimo grido, seguono due gravel anzianotte di cui una con manubrio double bar e cambio da mtb, e per finire una mtb adventure in acciaio.
Va detto che il mezzo perfetto per il Marocco non esiste, il duro terreno marocchino metterà comunque alla prova qualsiasi mezzo, a motore e non. Non siamo dei pro, s’era capito, e questa non è la Atlas Mountain Race – anche se ne condivideremo una raccolta komoot sul nostro profilo Umbria bikepacking – ma ci è chiaro che quelle zone pietrose e semidesertiche non perdonano; rompere qualcosa significa trovarsi in un mare di guai, in alcuni tratti non c’è anima viva per decine di chilometri, figuriamoci un’officina decente. Ci sarà da macinare novecento chilometri scarsi in 8 giorni, non proprio una passeggiata visti anche gli undicimila metri di dislivello positivo; per ora, tuttavia, l’unica fretta che abbiamo è di ficcare il nostro bel cartone da trenta chili nella pancia del Boeing: spingerlo di continuo per stazioni ed aeroporti assomiglia sempre più ad una via crucis cicloturistica.
Navetta per l’aeroporto di Ciampino, primi intoppi – “Er coridoio me l’hai da lascia’ libbero da ‘sti cartoni sinnò nun parto” – recita a memoria l’autista. Troviamo un compromesso, si va. Tre ore abbondanti di volo e a Marrakech è ormai notte fonda, l’orario in lowcost è pessimo, dobbiamo ancora arrivare in struttura e montare tutto. L’Alto Atlante è dietro l’angolo, siamo stanchi ma determinati, e soprattutto pronti a farci bastonare dai famigerati dislivelli nordafricani.
Day 1 – 100 km 2.090 dsl+ Marrakech – Taddert
Come da copione si dorme poco e male… lasciato il caos della medina di Marrakech puntiamo verso oriente, lungo una lingua d’asfalto che sale verso la catena montuosa color ruggine; attraversiamo una fascia olivata che ricorda un po’ le nostre terre natie, una sosta per bivaccare con le specialità umbre è d’obbligo. Il tarmac lascia il posto al gravel, i villaggi si fanno più rarefatti e si comincia con decisione a macinare dislivello su strade pietrose ma abbastanza battute. Creste rocciose di colore rossastro dominano vallate brulle e riarse dal sole africano, solo qualche macchia verde di arbusti interrompe il panorama alieno. Durissimo lo strappo finale per il passo che domina la statale per Taddert, rampe intorno al 20%, rimanere in sella non è da tutti. Un glorioso e meritato atay (tè verde alla menta, che d’ora in poi scandirà le nostre giornate marocchine), ci riscalda e ci tira su il morale ai bordi della statale. E’ notte e fa freddo, si sale nel buio pesto del fondovalle fino a Taddert, 1800 mt. Ahmed ci aspetta in strada, davanti all’uscio della sua scarna locanda, infreddolito e preoccupato per il nostro colossale ritardo. Una delle tappe più dure è chiusa, le gambe girano bene e il fondoschiena non sembra protestare, almeno per ora. Pacche sulle spalle, strette di mano e cinque tajine vengono messe sul fuoco.
Day 2 – 86 km 1.400 dsl+ Taddert – Ait Ben Haddou
Altra mattinata limpida e fresca, pochi km e il fondovalle si impenna bruscamente verso il famigerato passo Tizi n’Tichka (mt. 2260). Dopo il valico svolta a sinistra, direzione Ait Ben Haddou, l’asfalto taglia in due una panoramica che sembra scattata da uno di quei rover che scorrazzano su Marte. Un pastore e un mulo carico di fieno ci ricordano che siamo sulla terra, pedaliamo da ore, e abbiamo fame. Nel villaggio berbero di Telouet ci spariamo un’ottima Tajine prugne, uova e manzo, favolosa. La sgambata finale verso Ait Ben Haddou mantiene le promesse fatte, complice anche una golden hour che più golden non si può, dopotutto la Kasbah della città è famosa per aver fatto da set a varie produzioni cinematografiche very popular tra cui Lawrence d’Arabia, Stargate, il Gladiatore, una manciata di episodi del Trono di Spade, e via dicendo. E’ notte ormai, un fuoristrada taglia la strada del villaggio a folle velocità, i soliti cani randagi fanno appena in tempo a togliere il culo dalla carreggiata, c’è mancato poco.
Day 3 – 100 km 1.170 dsl+ Ait Ben Haddou – Taznakht
Prendiamo le distanze dalla statale e dalla civiltà pedalando una traccia che taglia il nulla marziano in direzione Ourzazate, se non fosse per la mulattiera non avrei difficoltà a credermi su un altro pianeta. A rendere il tutto ancor più straniante qua e là spunta un cartello che reclamizza qualche studio cinematografico che manco a Hollywood. In effetti ti guardi intorno e… cazzo è la Monument Valley! Siamo tra gli yankees! Come è possibile? Il sole ti ha evidentemente dato alla testa e ti ricomponi per l’ingresso trionfale a Ourzazate, paesotto munito di bancomat e del fantomatico Carrefour dove si narra di un reparto alcolici… Il saliscendi verso Taznakht è bello da togliere il fiato, le vallate maestose si alternano velocemente, la strada fila via alla grande. Il paesotto è bello movimentato anche di sera, qui siamo già al di fuori delle carovane turistiche. Prendiamo alloggio in uno dei due sgangherati auberge presenti in città. Con una fame da lupi ci sediamo ai tavoli di uno street food che tira fuori ciccia a volontà, si apparecchia una cena pantagruelica a suon di tajine, polletti alla griglia e kefta, un tipo di polpettina aromatica servita in tajine con le uova. Settanta dirham a testa, sette euro scarsi.
Day 4 – 95 km 1.010 dsl+ Taznakht – Oasis Aguinane
La nottata all’Hotel Taghadoute non è stata delle migliori, le stanze affacciano sulla via principale e tra schiamazzi notturni, latrati dei cani randagi e macchine lanciate a palla il casino non è mancato. Rimontiamo le borse appoggiati alle colonnate del portico dell’auberge e ci lasciamo alle spalle la bolgia mattutina di Taznakht. La traccia taglia in due una vallata semidesertica per almeno una trentina di chilometri, il paesaggio è lunare, alieno. Nel mezzo del nulla incontriamo diversi viandanti carichi come muli; mi chiedo da quant’è che camminano, alle loro spalle ci sono chilometri di vuoto totale. Proseguiamo in salita per chilometri e chilometri, poi finalmente il valico e una discesa davvero al limite per le gravel, polsi e avambracci chiedono pietà, lo sguardo si perde di nuovo nelle distanze siderali, e pensi che se esiste un posto più bello da attraversare in bici probabilmente Dio se l’è tenuto per sè. E’ ormai sera, si intravedono le prime palme dell’oasi di Aguinane. Dal minareto che domina la vallata si alza il canto del muezzin, sono le sette, ci fermiamo davanti ad una struttura. Un anziano in ciabatte e caftano si affretta verso di noi, parla solo berbero, ci porge un telefono, all’altro capo c’è suo figlio che vive a Modena e ci fa da interprete aiutandoci a sbrigare le formalità necessarie, in particolare ordinare la cena e convincere il berbero che la fame è tanta, ma davvero.
Day 5 – 107 km 800mt dsl+ Oasisi Aguinane – Tata
La mattina, al solito, è frizzantina e soleggiata. Ripartiamo tra i palmizi dell’Aguinane e comprendiamo solo ora che l’oasi vera e propria si trova decisamente più in basso rispetto al nostro pernotto, si scende infatti per meravigliosi tornanti duri e tecnici fino a fondovalle. L’oasi si trova in una conca, per uscirne si percorre uno stretto e fantasmagorico canyon che poi impenna decisamente verso il valico, poi al bivio si sterza a destra e si lascia l’asfalto per una afosa zona desertica, piatta e straniante, dove il pietrame assume una bellissima colorazione violacea. Ogni tanto ci imbattiamo in un wadi, l’equivalente delle nostre fiumare del meridione, una bianca autostrada di ciottoli e massi alluvionali che interrompe talvolta la traccia, quando questo accade si va di portage. Nel paesino di Akka Ighane realizzo che rispetto a Marrakech siamo decisamente più a sud, ed è sempre qui che un’idea, finalmente, mi colpisce: Africa. Tanto per confermare le mie fantasie, l’afoso pianoro in direzione Tata è punteggiato qua è là da cammelli che brucano la scarsa vegetazione. Si esce dal gravel dopo una tratta molto lunga, l’asfalto sul momento sembra una benedizione ma fino a Tata si trasforma in un drittone estenuante lungo decine di chilometri che a tratti è sogno, ma anche incubo. Il gruppo si disperde su un raggio di chilometri, intorno c’è il nulla, il silenzio di tomba viene interrotto solo dal latrare dei cani sparsi un po’ ovunque e dal frastuono delle jeep lanciate a velocità autostradali verso Tata. La città, ancora lontana, è avvolta da una nuvola di foschia. Il Sahara è alle porte.
Day 6 – 115 km 1.380mt Tata – Tiouadou
Una colazione non proprio entusiasmante e si riparte da Tata per affrontare una cinquantina di chilometri di asfalto fino ad un distributore dove si lascia il tarmac per una traccia gravel che attraversa una zona semidesertica. Al posto del distributore, dove più o meno tutti confidavano di rifornirsi di acqua e viveri, c’è invece un cantiere. Ottimo. Sbuchiamo su di una pianura enorme, sbagliamo traccia, poi la imbrocchiamo. Il caldo è infernale, gli avambracci si arrostiscono al sole. Non c’è ombra per chilometri. L’unica forma di vita che prospera in questa piastra rovente è una varietà di acacia a foglia verde e carnosa, molto gradita alle caprette e armata fino ai denti di spine lunghe un pollice. Inizia infatti la danza delle forature, buchiamo quasi tutti, chi prima chi dopo, in un tratto di dieci chilometri. Dall’afa della pianura, una volta ricompattati, stringiamo i denti fino al fresco del passo, è ormai il tramonto quando valichiamo verso Tiouadou, con la speranza che nell’incantevole paesino che chiude la vallata ci sia una struttura aperta.
Day 7 – 96 km 1.850mt Tiouadou – Tizourgane
E’ prima mattina, e nelle gole di Ait Mansour il sole ancora non arriva, fa freddo. Dopo un rifornimento da un fornitissimo venditore di datteri si comincia a macinare dislivello, oggi distribuito in due grandi “corni” le cui sommità si trovano al trentesimo e al settantesimo chilometro della tappa. La prima ascesa è dura ma fattibile, siamo ancora freschi, dalla sommità parte un discesone splendido e senza fine che porta direttamente al paese di Tafraoute lungo un asfalto ben tenuto e incorniciato da cordoli rossi e bianchi. La vista dall’alto è incredibile. La seconda fatica della giornata è meno clemente della prima che aveva anche dei saliscendi, questa invece non molla mai, e si passa dai 900 mt di Tafraoute ai 1.700 mt del valico. Arriviamo alla Kasbah di Tizourgane al tramonto, la splendida fortificazione emerge dalla pianura all’improvviso, un’isola vulcanica nel nulla oceanico. Decidiamo di fare i ricchi, almeno per oggi, e prendiamo alloggio direttamente nella Kasbah, oggigiorno riadattata per accogliere i viandanti. I bagagli degli ospiti vengono issati direttamente con un argano a motore oltre le mura del forte.
Day 8 – 107 km 660 dsl+ Tizourgane – Agadir
La tappa odierna è lunga ma con poco dislivello, si è pernottato a più di mille metri di altitudine e concluderemo ad Agadir, sulla battigia dell’Atlantico. Nel paesotto di Ait Baha ci fermiamo per una sosta, qualcuno indietro ha forato, ne approfittiamo per ricompattare il gruppo e mettere sotto i denti omelette, batbout (pane marocchino) e atay (tè alla menta). Si riparte con un caldo bello intenso, stiamo perdendo quota e le temperature ne risentono, il fresco dell’Atlante ormai è solo un lontano ricordo. Nel caldo pomeridiano ci ritroviamo a spingere per lunghi tratti a 30 kmh e più, in scia, facendo gruppo, maciniamo chilometri di asfalto fino ad arrivare alla città berbera di Biougra. Lo smog è asfissiante. Tornare nel traffico, nel caos, nella bolgia delle città marocchine dopo giorni di eremitaggio e desertici paesaggi marziani è davvero traumatico. La leggera pendenza ci consente di filare via a medie inconsuete, facciamo anche tratti a 35 km/h di media, quando la salsedine inizia a spingere via lo smog capiamo di essere vicini alla meta, l’Atlantico è dietro l’angolo, si inizia a percepire il mood rilassato delle città vacanziere. Sul lungomare la vista di un pensionato tedesco in Birkenstock, pedalini bianchi e camicia hawaiana ci ricorda, ahimé, che la meraviglia è finita, potremmo essere ovunque, anche a Rimini, e non cambierebbe una mazza. Però la vita ci insegna che dove c’è un tedesco non può mancare un birraio, così brindiamo a più riprese a questo viaggio stupendo spaparanzati sui tavoli di un lounge bar dove – come si può facilmente intuire – spendiamo in un paio d’ore quello che si è speso in una settimana nell’interno del paese.